martedì 4 giugno 2013

Lidia Grimaldi: "Ritorno"

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Il paese compare all’improvviso, all’uscita da una galleria. Ha la testa incappucciata in un costone di roccia e sciacqua lembi di pelle disseccata nel mare. Lo attraverso dalla fine al principio, risalendo le sue gambe distese sulla sabbia sottile, immergendomi nel ventre palpitante di balconi barocchi, fino alla testa profumata di incenso dell'antica cattedrale normanna. Srotolando i volti che incrocio. Cercando quelli di una vita fa.
Il caffé bevuto a metà del percorso è forte e bollente, l’aria punge di salsedine. Dai vicoli salgono profumi di sale e fatica, di fiori appesi ai davanzali e vecchi sogni lasciati sui gradini di una chiesa. Hanno il sapore di ciò che ci appartiene per nascita, come il profilo del naso e la curva dei fianchi.
Mi chiedo se il basolato di questa via riconosca i miei passi come io riconosco ogni sua levigatezza scivolosa, ogni smusso di marciapiede. Se noi manchiamo ai luoghi come i luoghi mancano a noi, quando ce ne separiamo.

Eccomi, sono arrivata. Riesci a vedermi? O sei anche tu come le pietre su cui ho camminato sin qui?
Il giorno che sono partita, mi hai detto: -Segui il tuo destino e non preoccuparti per me-. Avevo vent'anni e non desideravo che preoccuparmi del mio destino. Qualcuno lo chiama egoismo, a volte è solo istinto di sopravvivenza. Ma il confine è sottile e facilmente lo si attraversa senza rendersene conto.
Poi, in un giorno di tregua, ho cercato di tornare indietro. Ma la strada della vita va in una sola direzione, avanti sempre finché ce n’è.
Forse è come hai sempre detto, c’è un destino che ci porta dove è scritto che dobbiamo arrivare, lasciandoci credere di essere liberi e che possiamo tornare a riprenderci quello che ci è sfuggito di mano strada facendo.
Sono venuta a riprendermi il pezzo del cuore che è rimasto con te. Ora che non ti serve più.
L’avevo lasciato qui da qualche parte. Nel tuo armadio, fra le vestaglie di seta del corredo, odorose di sogni, che non hai mai indossato e gli abiti dozzinali che hanno vestito i tuoi giorni senza sorprese.
L’avevo lasciato qui sulla veranda col gelsomino raccolto a profumare le pagine di una vita senza odore.
L’avevo lasciato accanto al tuo cuore rosso come l’amore che hai dato e che nessuno ha raccolto, e su quel molo dove andavi a rubare un po’ di azzurro per colorare giorni senza tinte.
L’avevo lasciato come si lascia la tristezza che rallenta il passo e il dolore che annebbia la vista. Come un bambino che ancora ha bisogno della madre.
L’avevo lasciato perché potesse riscaldare le tue notti di freddo. Affinché tu potessi consolarlo nei miei giorni di rimpianto.
L’avevo lasciato ma forse non ti è mai servito.
Come non è servito molto a me camminare con la metà del cuore da un’altra parte.

Lidia Grimaldi
(a Cefalù e a mia madre)


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Non so se definire prosa o poesia questa pagina di letteratura, una delle più belle che mi sia capitato di leggere. Della narrativa ha la consequenzialità logica e temporale, mentre della poesia ha il palpito della soggettività: la dilatazione e i restringimenti delle immagini reali e la proiezione dei sentimenti nel tempo.
Ho provato forte commozione nel leggerla, perché, nonostante io abbia quasi sempre vissuto nella mia terra d’origine – me ne sono allontanato per quattro anni solo per gli studi – avverto il dramma sotterraneo dei giovani che, per il lavoro, salirono sui treni maleodoranti di ieri e salgono sui velivoli low cost di oggi. Verso terre nuove, sconosciute, talvolta ostili.
Il dramma è sotterraneo perché, al momento della partenza, la giovane età porta ad essere fiduciosi e temerari; ma, col tempo, l’aspetto drammatico è destinato a riemergere, perché è difficile dimenticare i profumi, i colori, gli affetti, le sottili sfumature dei rapporti sociali nei quali la giovinezza si è incarnata.
Queste cose le scienze sociali non le dicono e, se le dicono, le mettono in secondo piano, come fatti quasi marginali. Esse ci danno degli indici approssimativi sul livello economico degli immigrati, sulla loro integrazione nel nuovo ambiente e sulle mutazioni determinate nelle strutture sociali, ma sul terreno della vita interiore devono cedere il passo alle testimonianze, alle confessioni, alla narrazione, al librarsi dei sentimenti attraverso le parole, a volte levigate e a volte aspre, della poesia.

Lidia Grimaldi è nata negli anni Cinquanta a Cefalù, una delle piccole perle delle coste siciliane che per il loro fascino attraggono tanto turismo e dalle quali è difficile allontanarsi senza portarsi dietro tanti ricordi. Appena ventenne si è trasferita in Lombardia, dove ha lavorato come impiegata, ha messo su famiglia ed ora ha la gioia di seguire i primi passi della sua prima nipotina. La sua produzione letteraria è stata profondamente segnata dalla perdita prematura del marito, trauma che permea in modo discreto e impercettibile gran parte dei suoi racconti e delle sue poesie. A partire dal 2007 pubblica i suoi scritti su Descrivendo.com, una piccola ma calda e accogliente community letteraria nella quale è nato, da parte mia, un sincero sentimento di ammirazione per la sua scrittura profonda e delicata.

Cataldo Marino

Altri scritti di Lidia Grimaldi su questo blog:
http://ilsemedellutopia.blogspot.it/2015/12/lidia-grimaldi-letterina-di-natale-al.html
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