lunedì 27 agosto 2012

Commento ad alcuni racconti di Fulvio Musso

Da novembre 2011 a luglio 2012, col permesso dell’autore, ho pubblicato mensilmente un racconto di Fulvio Musso, accompagnandolo con un breve commento in cui cercavo sempre di cogliere un risvolto ‘sociale’ oltre che psicologico. A partire da settembre però l’amico Fulvio ha ceduto i diritti d’autore e mi ha perciò pregato di eliminare queste pubblicazioni dal blog.
Lo faccio con sentimenti contrastanti: felice per il fatto che la sua vena artistica, ampia e profonda, abbia ottenuto quei riconoscimenti nei quali io ho creduto dall’inizio; rattristato perché questo blog ne risulterà certamente impoverito.
A testimonianza però della mia ammirazione per l’autore e per i suoi piccoli gioielli narrativi, lascio in questo post i Titoli dei racconti finora pubblicati ed il commento da me fatto per ognuno di essi.
Ad maiora, caro Fulvio

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“La prolunga” (sabato 28 luglio 2012)

Non so se la sana abitudine di ritrovarsi periodicamente al bar con gli amici resista ancora ai mutamenti degli ultimi decenni; ho l’impressione che oggi si sia diventati tutti dei ‘pantofolari’, chiusi nella solitudine delle proprie case. Così, non avendo interlocutori fisici con cui confrontarsi direttamente, ognuno resta fermo nelle proprie idee, mentre una volta Maccione, Ossario, Tavazzi e Marianino, pur cazzeggiando, se ne tornavano nel proprio guscio con una battuta in più – che non fa mai male allo spirito – e spesso con un po’ di filosofia spicciola, che non fa mai male all’affinamento della logica e delle capacità di dialogo.
E, nei discorsi di questi quattro amici, se le battute abbondano, un po’ di filosofia non manca.

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“I culoni” (giovedì 21 giugno 2012)

Dagli anni Sessanta è cresciuto a dismisura il numero delle automobili, mentre negli ultimi anni tende a crescere la loro cilindrata e il loro uso. Non sono molto sicuro che, come Fulvio dice scherzosamente, ciò possa determinare una mutazione morfologica dell’uomo, perché conta molto anche l'alimentazione. Ma concordo perfettamente col messaggio centrale del racconto, e cioè nel condannare senza attenuanti l’uso eccessivo dell’auto e il progressivo aumento della cilindrata, cogliendo in queste tendenze anche un risvolto sociale.
Quasi sistematicamente i modelli di vita competitivi ‘made in Usa’ arrivano dopo qualche anno in Europa e, dopo qualche anno ancora, si espandono a macchia d’olio nel resto del mondo. Nell’ambito di ogni stato o regione, poi, essi infettano prima gli strati sociali più ricchi, da questi si trasmettono a quelli medi e infine passano negli strati bassi, per i quali magari la cilindrata resta la stessa, ma l’aspirazione al suv aumenta comunque.
L’automobile da molti decenni è ormai, usando un termine nato in ambito scientifico ma oggi entrato nel linguaggio comune, uno ‘status symbol’, cioè uno di quei beni che indica la nostra collocazione nella società. Chi compra un’automobile deve far apporre su di essa una targa che la distingue da tutte le altre; ma lo stemma, che ne indica la casa produttrice e le caratteristiche tecniche, denota a sua volta a quale gruppo sociale appartiene il proprietario. Diventa in certo senso la ‘sua’ targa.

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Due racconti di Fulvio (mercoledì 16 maggio 2012)

Questo mese i Racconti di Fulvio sono due. Scritti in tempi diversi, ma sempre con lo stesso, ineguagliabile stile elegante, e sempre portatori di un messaggio insieme triste e pungente, ironico ed autoironico, secco e preciso, realistico eppure fantasioso.
Far convivere gli opposti è impossibile quando si cerca a tutti i costi di razionalizzare i fatti, ma non tutti i fatti sono razionali.

“Un desiderio che si chiama tram”

“Nina, te ti ricordi /quanto che g’avemo messo /a andar su’ sto toco de leto /insieme a fare l’amor..
Sei ani a far i morosi /a strenserla franco su franco /e mi che ero stanco /ma no te volevo tocar.
To mare che brontolava /“quando che se sposeremo”, /el prete che racomandava /che no se doveva pecar..
E dopo, se semo sposati /che quasi no ghe credeva /te giuro che a mi me pareva /parfin che fusse un pecà.
Adesso ti speti un fio /e ancuo la vita xe dura /a volte me ciapa la paura /de aver dopo tanto sbaglià.
Amarse no xe no un pecato, /ma ancuo el xe un lusso de pochi /e intanto ti Nina te speti /e mi son disocupà./E intanto ti Nina te speti /e mi son disocupà.” (“Nina, ti te ricordi” di Gualtiero Bertelli, 1966)*

Il testo della canzone di Bertelli, che segue il racconto di Fulvio Musso, racconta una storia d’amore. Fatta eccezione per De Andrè, De Gregori e pochi altri poeti-musicisti, le canzoni raccontano quasi sempre storie d’amore, ma questa è un po’ diversa, perché denuncia come l’amore possa essere “disturbato” dalle condizioni materiali di vita. Forse è per questo che Gad Lerner lunedì scorso 7 maggio, con la sua sensibilità per il sociale, ha voluto riproporla in diretta, con la voce commossa del suo autore, a distanza di quasi cinquanta anni dalla sua composizione.
Non molto diverso dalla emozionante canzone di Gualtiero Bertelli è, sotto questo aspetto, il racconto di Fulvio Musso che oggi propongo in questo blog: una gioventù difficile, fatta di privazioni e di emozioni delicate, tenute sotto controllo per il timore che si trasformino in impegni difficili da mantenere, la cui proiezione nel futuro sottrae all’età giovanile la sua naturale baldanza. Una condizione particolare che si innalza a rappresentazione della comune umanità: un altro piccolo capolavoro letterario di Fulvio, con sottili implicazioni… ‘socio/logiche’.

.* Per tutti coloro che volessero riascoltare “Nina ti te ricordi” segnalo il video http://www.youtube.com/watch?v=05uy3IEGKmU. Per chi invece ha scarsa confidenza col dolce dialetto veneziano e volesse capirne meglio il testo, segnalo una pagina web con la traduzione:
http://amischanteurs.org/wp-content/uploads/82.pdf

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“L’amico”

“Quando il mio amico li incontra, tutti costoro lo fissano ostinatamente. Ma, per quanto cerchi di scrutarli a sua volta, non riesce ad intuire cosa s’aspettino da lui che, invece, vorrebbe soltanto capire finalmente qualcosa di loro e, di riflesso, di se stesso.”
Tutti apprezziamo i racconti ‘taglio web’ di Fulvio Musso per il suo stile elegante ed i sottili pensieri. A me essi dicono però anche qualcosa di diverso, risvegliando spesso nella mia mente alcune letture giovanili, rese ormai sbiadite e incerte da un prolungato letargo rispetto ad esse, letargo dovuto alle tante altre necessità della vita.
Ad esempio, il passo sopra riportato mi ha subito ricondotto al libro “Mente, sé e società” di George Herbert Mead, uno psicologo sociale che credo abbia avuto il merito di anticipare un concetto cardine della sociologia, quello di ‘ruolo’, più tardi approfondito e sistematizzato da Talcott Parsons e Ralph Dahrendorf.
In breve. Osservando gli altri, ci accorgiamo di essere a nostra volta osservati e, dal significato che attribuiamo a gesti e parole, cerchiamo di capire cosa essi si aspettano da noi (meccanismo indispensabile per non deluderli oltre misura e per evitare sanzioni sociali come il disprezzo e l’emarginazione, che, potendo far crollare l’autostima, in genere condizionano il nostro comportamento più di quanto non lo faccia il timore di possibili pene pecuniarie o detentive).
Ad un certo punto però, oltre che gli altri, cominciamo ad osservare anche noi stessi. Non possiamo farlo esattamente nel momento in cui agiamo, ma ci diventa possibile un attimo dopo, o dopo un giorno o dopo uno o più anni. Nell’individuo - sostiene Mead - coesistono un ‘me’ e un ‘io’. Il ‘me’ è il ruolo, cioè una serie di comportamenti correlati all’età, il sesso, il lavoro ecc., che gli altri si aspettano da noi e che noi, entro limitati ambiti di discrezionalità, accettiamo interiorizzandolo. L’ ‘io’ è invece quella parte dell’individuo che prende le decisioni, ma che, prima e dopo aver agito, ripensa se stesso.


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"Il corpo" (venerdì 20 aprile 2012)

Per sette o otto ore al giorno tutti abbiamo una vaga esperienza dell’evento umano più comune eppure più ignoto e temuto. Ogni volta che spegniamo la luce e ci addormentiamo, diventiamo temporaneamente assenti agli altri e a noi stessi, e per tutta la vita siamo ben contenti di questo alternarsi di esserci e non esserci. Ciò che ci spaventa è infatti il sempre, il definitivo.
Con questo racconto surreale e oltremodo inquietante – un temporaneo allontanamento dalla sua caratteristica vena ironica e rassicurante - Fulvio Musso prova ad esorcizzare l’irreversibile, ricorrendo ad una forma di sdoppiamento e mescolando nello stesso istante l’esserci e il non esserci.
E’ un racconto che, in quanto a tema trattato e umori suscitati, potrebbe essere stato scritto da E. A. Poe, ma in quanto a stringatezza ed essenzialità, insomma in quanto allo stile, non può che essere ‘fulliano’.
Il mio amico Musso – sottolineo il rapporto di amicizia in quanto ne sono molto onorato - definisce ‘fulminei’ i racconti fino a circa trenta righe, ‘brevi’ quelli fra trenta e ottanta, inadatti al web quelli che vanno oltre. Se volesse, potrebbe allargare gli uni e gli altri come con una fisarmonica, senza con ciò abbassare la qualità della melodia. Ma lui ha fatto questa scommessa letteraria e… i risultati gli danno ragione.

Nota. Questo brano detiene il record storico dei voti nel sito letterario “Gentechescrive”

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“La tedesca” (mercoledì 21 marzo 2012)

In un sito letterario in genere metto in primo piano, com’è giusto che sia, l’aspetto estetico e la vicenda interiore. Ma, quando rileggo i racconti di Fulvio, prima della pubblicazione su questo blog, l’autore finisce sistematicamente per offrirmi anche qualche prezioso spunto socio… logico. Un ottimo ‘assist’, direbbe un tifoso del calcio.
Nel tempo in cui Fulvio e io eravamo dei giovanotti, le compagne di classe mettevano ancora un grembiule che andava giù giù fino a tre, o anche più, dita sotto il ginocchio. La donna era, per noi maschietti, un mistero dal punto di vista fisico e forse ancora di più nei suoi pensieri. Immagino che nel Comasco le cose andassero un po’ diversamente che in Calabria, ma penso che, anche a latitudini diverse, il mondo femminile italiano essenzialmente fosse così.
In quello stesso periodo, dal mondo anglosassone arrivavano invece modelli di donna molto diversi. Quello fu per noi Italiani come un fascinoso risveglio dei sensi e della fantasia, tanto che nel ‘63 l’allora impareggiabile Alberto Sordi, percependo il segno dei tempi, improvvisò un discreto film in bianco e nero (Il diavolo) completamente girato in Svezia, allora un mito per via delle donne belle e di elevata apertura mentale.
Nel volgere di pochi anni però non ci fu più bisogno dei film per scoprire questa diversa realtà. Dall’Inghilterra arrivarono le minigonne e dalla Germania, tutte intere, le tedeschine desiderose di mare e di attenzioni. Fulvio forse le vedeva sulle spiagge dell’Adriatico, mentre io mi accontentavo delle suggestive narrazioni di qualche emigrato in vacanza. Comunque, qui o là, tutti in Italia avvertimmo queste nuove presenze.
Di questo, come di altri fatti importanti del nostro passato, a livelli più o meno profondi restano le tracce di immagini e sentimenti. E così, anche adesso, un’epoca in cui le nostre italianine hanno spesso finito per travisare e trasformare la delicata sincerità scandinava in rude sfrontatezza, i giovani d’una volta si ritrovano magari a fare gli stessi sogni di tanti anni fa. Ma Fulvio, a giudicare dalle molte fans, è un grande tombeur de femmes, e forse quello che narra non è proprio un sogno.

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“Il santo” (mercoledì 15 febbraio 2012)

Non credo che la religione sia l’oppio dei popoli. E, se lo è, non è l’unico, perché lo sono anche il calcio, le automobili e le creme di bellezza, oltre alle droghe vere e proprie, che nell’Ottocento forse obnubilavano pochi individui e oggi invece insidiano le menti di ben più larghe fasce di popolazione.
La religione nasce per spiegare l’altrimenti inspiegabile, per lenire le ansie altrimenti insopportabili, per consolare l’inconsolabile, per accettare l’inaccettabile. Tuttavia non è raro il caso in cui, proprio coloro che dovrebbero guidare gli altri sulla retta via (ogni religione ne indica una diversa o con diverse sfumature), approfittino della buonafede delle persone pie per raggiungere fini del tutto impropri e personalissimi. Smascherarli non è semplice perché, per ogni nuova trappola, nasce un nuovo tipo di inganno; ma ogni tanto qualcuno ce la fa, come narrato in questo fantasioso racconto allegorico.
Fulvio Musso ha abituato i suoi lettori alle sorprese delle ultime righe, e questa volta la sorpresa consiste in un significativo capovolgimento di ruoli fra “il santo” e “il pellegrino”. Saperlo fin dall’inizio toglierebbe in parte il gusto della lettura e, per questo, oggi mi è sembrato giusto trasformare la mia consueta introduzione in un commento. Un commento forse superfluo, perché i racconti di Fulvio parlano da sé, senza possibilità di equivoci.

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“Il medico condotto” (domenica 8 gennaio 2012)

Fulvio Musso da anni pubblica con estrema regolarità i suoi deliziosi racconti sul sito Neteditor.com, mescolandosi umilmente a tanti altri autori forse un po’ meno talentuosi. Non perdo occasione per leggerlo e fare un breve commento e, nel caso de “Il medico condotto”, scrissi che sono anche io del parere che la salute fisica dipenda spesso da quella psichica e che una volta mi sono addirittura trovato a rivoltare la massima ‘mens sana in corpore sano’ nel suo opposto ‘corpus sanus in mente sana’. Le malattie sono frutto degli eccessi, e gli eccessi sono il frutto di scarsa armonia interiore.
Pur non essendo un adepto delle religioni orientali, ho sempre creduto che la psiche influenzi il corpo più di quanto non ne venga influenzato. La medicina attuale invece, basandosi prevalentemente (quando non esclusivamente) su presupposti anatomo-fisiologici, si è col tempo suddivisa in mille rivoli specialistici: dalla tricologia alla podologia, passando attraverso lo studio specifico di ogni altro organo intermedio.
La cosa giustifica in buona misura il ‘modus operandi’ del moderno medico di famiglia, ma non esenta quelli della nostra generazione dal ricordare con una certa nostalgia la figura del vecchio medico condotto che, oltre a prescrivere la medicina più adatta, dava affettuosi consigli sullo stile di vita. Sono convinto che nove malattie su dieci siano il frutto di cattive abitudini e che i grimaldelli del vecchio dott. Onorato siano utili quanto e più dei farmaci.
Come al solito Fulvio Musso spiegherà tutto questo in modo più elegante e convincente di quanto non possa fare io con le mie, forse inutili, elucubrazioni. Passiamo dunque alla lettura.

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“Il notabile” (giovedì 15 dicembre 2011)

Qualcuno nell’Ottocento aveva visto giusto sulla massa dei disoccupati che tengono bassi i salari, sulle crisi di sovrapproduzione che sistematicamente mandano in tilt il sistema economico e sulla tendenza degli stati all’espansione economica e militare. Nel momento in cui scriveva aveva visto giusto anche sulla spaccatura della società fra capitalisti e proletari; ma intanto, nel corso di un secolo, fra i due blocchi sociali, ad alcune categorie intermedie tradizionali - il medico, il notaio, il farmacista e il parroco – si sono aggiunte molte nuove figure che fanno da trait d’union o da cuscinetto fra i due blocchi contrapposti. Fra di esse, anche quella del funzionario di banca.
Secondo un certo schema, la società è come una piramide a gradoni: in quelli più alti ci sono ricchezza e prestigio, in quelli più bassi povertà e ordinarietà. Il desiderio di cambiare posizione è a senso unico, dal basso verso l’alto. Ma saltare più gradoni insieme è raro, in genere si cerca di risalire un gradone per volta, e il riuscire a frequentare le persone appartenenti al gradone immediatamente più in alto favorisce l’ascesa.
Vi spiegherà tutto in modo più chiaro e gradevole l’amico scrittore Fulvio Musso, che per la seconda volta ho il piacere ospitare nel blog in qualità di… narratore eccellente.

(1) L’autore ha depositato e pubblicato i suoi scritti su riviste e siti pubblici e sul sito personale. 

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“Il cadeau” (22 novembre 2011)

La narrativa, anche attraverso il particolare e l’immaginario, tende a cogliere alcune costanti del vivere umano, e tuttavia non vi è narrazione che si sottragga al suo tempo e non ne rispecchi ansie ed attese. E’ per questo motivo che da oggi il blog si apre, dopo la cinematografia, ad alcune incursioni nel campo della letteratura, nella quale interverrò solo di rado, per dare più meritato spazio ai contributi di alcuni ‘ospiti eccellenti’.
In primo luogo Fulvio Musso, autore di racconti di grande pregio letterario, del quale seguo costantemente le pubblicazioni sul web.
L’autore ha depositato e pubblicato i suoi scritti su riviste e siti pubblici e sul sito personale, dove li ha ordinatamente suddivisi in Racconti brevi, Racconti ‘fulminei’ (brevissimi), Raccolta privata (con vaghi riferimenti autobiografici), Noir-mistery-horror, Poesie, Arte varia, Storie di animali. Gli scritti sono preceduti da un breve e simpatico Profilo personale.

Cataldo Marino
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